Intervista al Fr. Comm. Giovanni
De Lutio:
«Riecco un pezzo della nostra storia»
Ha
modi affabili e parla infondendo serenità. Giovanni
de Lutio, responsabile della «commenda» di Napoli è
esattamente come ti aspetteresti un Cavaliere
Templare: gentile, pronto a dedicarsi agli altri,
rispettoso della storia e dell’importanza
dell’Ordine. Sorride spiegando che i libri e la tv
«hanno contribuito a diffondere una immagine
distorta dei templari: noi non viviamo nascosti e
pronti a impugnare grosse spade antiche, siamo
persone che mettono la propria vita al servizio
degli altri, seguendo i dettami di Nostro Signore».
Però quelle croci sono importanti per voi. «Eccome
se lo sono. È il primo segno tangibile del legame
tra la città e i Templari. Noi sapevamo che doveva
esserci da qualche parte un segno, una traccia. Ora
finalmente ne abbiamo la certezza». Sono bastate le
fotografie pubblicate dal Mattino a darvi questa
certezza? «Certi simboli sono inequivocabili. Anche
se tutti noi vorremmo al più presto vedere da vicino
quelle croci che rappresentano il legame tra il
nostro presente e il passato». Ci spiega perché le
croci sono tante e hanno disegni diversi? «A prima
vista sembra una sorta di percorso. Si passa dalle
croci semplici a quelle sempre più complesse,
esattamente come quelle che segnano il passaggio di
un cavaliere da un grado all’altro». Dopo la notizia
del ritrovamento è scoppiata anche a Napoli la mania
dei Templari. «Da un lato questo ci fa piacere,
dall’altro siamo preoccupati. Non ci piace che si
alimentino fantasie su presunte sette segrete che
conservano memorie da nascondere. Noi siamo limpidi,
viviamo alla luce del sole». Cosa fanno i Templari
oggi? «Ci occupiamo di chi è più sfortunato di noi.
La notte andiamo a portare coperte e cibo agli
homeless, spesso mettiamo in piedi mense itineranti
presso comunità e parrocchie: cuciniamo per i meno
abbienti e serviamo ai tavoli. Organizziamo gite
culturali per i bimbi degli orfanotrofi o delle zone
più disagiate della città». La gente immagina i
Templari con il mantello crociato e la spada...
«Invece serviamo ai tavoli e cerchiamo di dare
serenità e cultura ai bimbi: lo facciamo con il
rigore e le motivazioni che spinsero i nostri
antenati a indossare quel mantello con la croce».
Niente simboli o messaggi segreti, dunque? «Niente,
anche se qualcuno resterà deluso». Ma il mantello
continuate a usarlo in occasioni particolari. «Certo
che lo usiamo. Ma solo quando è richiesto dalle
regole, e siamo sempre fieri di indossare il manto
bianco con la croce che è simbolo del nostro
impegno». Rifuggite i simbolismi, ma le croci della
Pietrasanta vi hanno emozionato. «Si tratta di una
cosa differente. In quelle croci non c’è nulla di
segreto né di esoterico: si tratta semplicemente di
una rappresentazione fisica della antica presenza
dell’Ordine a Napoli. È una grande scoperta.
Vogliamo ringraziare chi l’ha fatta e chi l’ha resa
nota».
22 Aprile 2011 Il Mattino di
Napoli di Paolo Barbuto
La scoperta, il giallo. Incerta l’identità del
personaggio a cui si riferisce la scritta: un
matematico tedesco o uno storico napoletano
Visita alla basilica della Pietrasanta l’altra
mattina da parte del responsabile napoletano
dell’ordine dei templari,
Giovanni de Lutio. Il capo
della commenda di Napoli, dopo aver visto le
fotografie delle croci ed averne confermato
l’origine templare, in attesa di poter vedere di
persona le croci, si è soffermato nella cripta della
basilica dove ha potuto osservare da vicino anche la
lapide di Alexander Andreas. Di fronte al simbolo
rappresentato sul marmo,
de Lutio
ha avuto un
sussulto: «Si tratta anche in questo caso di un
chiaro simbolo templare», ha spiegato. Ed ha
raccontato anche l’origine di quella simbologia.
«Quando l’ordine dei templari venne messo al bando
nel 1314, aveva una grande flotta che, però, non
poteva più esporre la bandiera con la croce né le
grandi vele con la rappresentazione dell’ordine dei
cavalieri. Venne deciso, allora, in segno di
protesta, di utilizzare il simbolo del pericolo per
dimostrare la presenza e la immutata voglia di
lottare dei cavalieri. Venne rappresentato di colore
bianco in campo nero e per decenni quel simbolo è
stato associato alle navi dei templari. Nei secoli
successivi l’idea che quel segno rappresentasse navi
pericolose, indusse i corsari ad impossessarsene.
Così il cosiddetto jolly-roger è diventato, per
tutti, il simbolo dei pirati». Il
commendatore de Lutio
ha annunciato che anche l’ordine metterà in
piedi una commissione di studio per capire chi fosse
Alexander Andreas e qual è il significato del testo
inciso sulla lapide: «Di primo acchito dico che si
tratta certamente di un simbolo di pericolo, di un
segno di confine oltre il quale non andare. Ma
preferisco avere il conforto degli esperti prima di
dare una versione ufficiale da parte dell’ordine»
Paolo Barbuto
La fotografia di questa lapide, pubblicata nello
stesso giorno dell’annuncio della scoperta delle
croci templari nel sottosuolo della basilica della
Pietrasanta, ha portato un pizzico di caos nel mondo
degli studiosi: qual è il significato del testo
inciso su quel marmo datato 1593? Chi era Alexander
Andreas, citato sulla lapide? E, soprattutto, si
tratta di una iscrizione funeraria o d’altro genere?
Cercano risposte Luca Cuttitta che si prende cura
del sottosuolo della Pietrasanta e Lello Iovine,
l’imprenditore alla guida del team che ha ottenuto
la concessione della basilica da parte della Curia,
subito dopo l’appello del cardinale Sepe per salvare
le chiese in abbandono della città. Per cancellare
ogni perplessità vi diciamo subito che una risposta
definitiva al significato della lapide non è ancora
stata trovata. Eppure, sappiatelo, ci stanno
lavorando fior di studiosi, professori, ricercatori.
A chi ha solennemente dimenticato (come noi) gli
insegnamenti dei tempi della scuola e a chi,
semplicemente, non ha confidenza con il latino
risparmiamo i particolari tecnici: verbi che
«richiederebbero il dativo e non l’accusativo»
appartengono a mondi sconosciuti ai più;
«l’attrazione del sostantivo nello stesso caso del
relativo» continua ad essere un evento misterioso
per la gran parte di noi poveri (e ignoranti)
mortali. Per farvela breve la ricostruzione è
difficile, anche perché si tratta di un latino di
fine 1500, impuro e forse trascritto male da chi ha
materialmente fatto l’incisione. Anche il
personaggio al quale fa riferimento la lapide è
avvolto dalla nebbia: si tratta di
Alexander Andreas,
il matematico tedesco con la passione per
l’alchimia, o è semplicemente
Alessandro Andrea,
lo storico italiano contemporaneo al matematico
tedesco il quale aveva passione per le vicende di
guerra? È affascinante l’idea che si tratti del
matematico istruito alla scuola di Ratisbona che si
è trovato a Napoli ad operare proprio nella zona
dove cent’anni dopo si sarebbe costruito il mito del
principe di Sansevero, Raimondo di Sangro. È
inquietante, invece, l’ipotesi che si tratti dello
storico napoletano. Secondo una attenta lettrice
(che peraltro dubita della attribuzione templare
alle croci sotterranee, nonostante la conferma dello
stesso ordine) quell’uomo sarebbe morto nell’anno
citato sulla lapide. Però era sepolto in un altro
posto, esattamente nella chiesa della «Croce di
Lucca»: ma se era sepolto altrove, perché la sua
lapide è finita nella cripta della Pietrasanta?
Sulla traduzione del testo c’è una ipotesi
dominante: potrebbe significare, «Alessandro Andrea
nell’anno della salvezza 1593 pose fine qui alle
fatiche che sopportò all’esterno», frase decisamente
singolare per ricordare un morto. Per questo gli
studiosi ci stanno lavorando ancora, anche alla luce
di vari altri misteri che circondano la lapide.
Secondo alcuni ricercatori (siamo aperti anche ad
altre interpretazioni, naturalmente), il simbolo
inciso non sarebbe quello abitualmente utilizzato
sulle lapidi tombali: le ossa incrociate alle spalle
del teschio sarebbero la rappresentazione del
pericolo, esattamente come avviene ancora oggi sui
cartelli gialli affissi nei pressi delle zone a
rischio. La morte dovrebbe essere, invece,
rappresentata con le tibie incrociate al di sotto
del teschio. C’è, poi, un altro particolare che
rappresenterebbe un palese rimando alle tradizioni
templari, la mancanza della mascella nella
raffigurazione del teschio. Si tratta, diciamolo
subito, di una segnalazione che abbiamo ricevuto via
mail e abbiamo ritenuto fantasiosa: la riportiamo,
però, sia per dovere di cronaca che per effettuare
una verifica «sul campo» sottoponendola alla
verifica dei lettori. Il riferimento sarebbe ai
resti della «Maddalena» riscoperti nel 1200 e
trovati privi proprio della mascella. Secondo
l’ardito racconto, siccome i templari sarebbero
stati devoti della Maddalena avrebbero inserito quel
segno (il teschio senza mascella) nella loro
simbologia. Per adesso si tratta, lo ripetiamo,
semplicemente di una fantasiosa ricostruzione.
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