DOCUMENTI STORICI

 

 

 

Napoli Aprile 2011-893 Articolo su Il Mattino di Napoli del 19 Apr.

 

di Paolo Barbuto

NAPOLI - Quando hanno visto le fotografie sul nostro giornale, i Templari di Napoli hanno avuto un sussulto: quelle croci scoperte dagli speleologi nel cuore della città, sotto la chiesa della Pietrasanta sono certamente un simbolo templare, quel segno che l’ordine di Napoli cercava da sempre. 
Tutti i cavalieri napoletani avevano la certezza che la città nascondesse da qualche parte un simbolo antico della presenza dei templari, «adesso sappiamo che quei segni ci sono, ne siamo entusiasti, vorremmo vederli di persona, consentire a tutta la città di poter ammirare quel percorso nascosto», ha detto il responsabile dei cavalieri napoletani, Giovanni de Lutio. Per adesso, però, le visite non sono possibili.

Le croci templari si trovano all’interno dell’antico acquedotto della città luogo accessibile solo agli speleologi: «Ma bisogna avere solo un pizzico di pazienza - spiega lo specialista Luca Cuttitta - tra qualche mese quelle cavità saranno accessibili e visitabili». Cuttitta è il presidente de «La Macchina del tempo», l’associazione speleologica che si occupa del sottosuolo della Pietrasanta: il progetto di sviluppo di quel luogo è in fase avanzata, diventerà il primo luogo ipogeo della nazione accessibile anche ai disabili.

Tutto era stato deciso ben prima della scoperta delle croci, ma il ritrovamento impone una brusca accelerata. La diffusione della notizia tramite il giornale e il sito web del Mattino ha riacceso l’entusiasmo verso il mondo templare. Alla chiesa si presentano decine di persone che chiedono di poter visitare il luogo: in redazione ci sono giunte decine di mail e di segnalazioni sulla storia e sui collegamenti con il mondo templare della chiesa della Pietrasanta, e non solo. Le croci templari sono state ritrovate lungo un percorso che parte dalla chiesa e si dirama per decine di metri sotto i palazzi di via Tribunali: passa sotto largo Proprio D’Araniello, si snoda alle radici dell’attuale istituto Diaz, poi arriva nei sotterranei del palazzo del principe di Sansevero, Raimondo di Sangro. 

Da quel punto il cunicolo punta nuovamente verso la chiesa della Pietrasanta, stavolta seguendo una linea dritta che si ferma sotto al «cemeterium», il luogo nel quale venivano preparati i copri prima della sepoltura. Si trovano molti scritti sui collegamenti tra il mondo dei templari e Raimondo di Sangro, non tutti confermabili e non tutti confermati dai templari di oggi riuniti sotto il nome di «Sacro ordine militare del tempio di Gerusalemme, gran precettoria della lingua d’Italia»: di certo è verificata una parentela fra la famiglia «De Ponte» che nell’antichità si occupò del restauro della basilica della Pietrasanta, e quella del principe di Sansevero.

Esistono, invece, accertati collegamenti tra gli antichi templari e la venerazione della «Madonna nera» che, riferiscono gli studiosi, altro non sarebbe che la trasposizione cristiana della dea egizia Iside, anch’essa raffigurata con la pelle scura. Il particolare che colpisce in questa storia è che la basilica della Pietrasanta fu costruita esattamente nel luogo dove i mercanti egizi avevano costruito il tempio di Iside, poi trasformato in epoca romana in un tempio dedicato alla dea Diana.

Resti delle costruzioni di epoca greca e romana sono ancora visibili sia all’interno della chiesa che alla base del campanile romanico, unico segno superstite della prima costruzione della basilica poi rinnovata completamente su disegno di Cosimo Fanzago. Residui delle antiche costruzioni di epoca greca e romana, assieme a reperti riferibili al medioevo e ad epoche successive sono anche visibili nella cripta che conserva decine di testimonianze molto interessanti e sicuramente colme di simbologie che solo gli esperti riusciranno a decifrare.

Martedì 19 Aprile 2011
 

Intervista al Fr. Comm. Giovanni De Lutio:

«Riecco un pezzo della nostra storia»

Ha modi affabili e parla infondendo serenità. Giovanni de Lutio, responsabile della «commenda» di Napoli è esattamente come ti aspetteresti un Cavaliere Templare: gentile, pronto a dedicarsi agli altri, rispettoso della storia e dell’importanza dell’Ordine. Sorride spiegando che i libri e la tv «hanno contribuito a diffondere una immagine distorta dei templari: noi non viviamo nascosti e pronti a impugnare grosse spade antiche, siamo persone che mettono la propria vita al servizio degli altri, seguendo i dettami di Nostro Signore». Però quelle croci sono importanti per voi. «Eccome se lo sono. È il primo segno tangibile del legame tra la città e i Templari. Noi sapevamo che doveva esserci da qualche parte un segno, una traccia. Ora finalmente ne abbiamo la certezza». Sono bastate le fotografie pubblicate dal Mattino a darvi questa certezza? «Certi simboli sono inequivocabili. Anche se tutti noi vorremmo al più presto vedere da vicino quelle croci che rappresentano il legame tra il nostro presente e il passato». Ci spiega perché le croci sono tante e hanno disegni diversi? «A prima vista sembra una sorta di percorso. Si passa dalle croci semplici a quelle sempre più complesse, esattamente come quelle che segnano il passaggio di un cavaliere da un grado all’altro». Dopo la notizia del ritrovamento è scoppiata anche a Napoli la mania dei Templari. «Da un lato questo ci fa piacere, dall’altro siamo preoccupati. Non ci piace che si alimentino fantasie su presunte sette segrete che conservano memorie da nascondere. Noi siamo limpidi, viviamo alla luce del sole». Cosa fanno i Templari oggi? «Ci occupiamo di chi è più sfortunato di noi. La notte andiamo a portare coperte e cibo agli homeless, spesso mettiamo in piedi mense itineranti presso comunità e parrocchie: cuciniamo per i meno abbienti e serviamo ai tavoli. Organizziamo gite culturali per i bimbi degli orfanotrofi o delle zone più disagiate della città». La gente immagina i Templari con il mantello crociato e la spada... «Invece serviamo ai tavoli e cerchiamo di dare serenità e cultura ai bimbi: lo facciamo con il rigore e le motivazioni che spinsero i nostri antenati a indossare quel mantello con la croce». Niente simboli o messaggi segreti, dunque? «Niente, anche se qualcuno resterà deluso». Ma il mantello continuate a usarlo in occasioni particolari. «Certo che lo usiamo. Ma solo quando è richiesto dalle regole, e siamo sempre fieri di indossare il manto bianco con la croce che è simbolo del nostro impegno». Rifuggite i simbolismi, ma le croci della Pietrasanta vi hanno emozionato. «Si tratta di una cosa differente. In quelle croci non c’è nulla di segreto né di esoterico: si tratta semplicemente di una rappresentazione fisica della antica presenza dell’Ordine a Napoli. È una grande scoperta. Vogliamo ringraziare chi l’ha fatta e chi l’ha resa nota».

22 Aprile 2011 Il Mattino di Napoli di Paolo Barbuto

La scoperta, il giallo. Incerta l’identità del personaggio a cui si riferisce la scritta: un matematico tedesco o uno storico napoletano

Visita alla basilica della Pietrasanta l’altra mattina da parte del responsabile napoletano dell’ordine dei templari, Giovanni de Lutio. Il capo della commenda di Napoli, dopo aver visto le fotografie delle croci ed averne confermato l’origine templare, in attesa di poter vedere di persona le croci, si è soffermato nella cripta della basilica dove ha potuto osservare da vicino anche la lapide di Alexander Andreas. Di fronte al simbolo rappresentato sul marmo, de Lutio ha avuto un sussulto: «Si tratta anche in questo caso di un chiaro simbolo templare», ha spiegato. Ed ha raccontato anche l’origine di quella simbologia. «Quando l’ordine dei templari venne messo al bando nel 1314, aveva una grande flotta che, però, non poteva più esporre la bandiera con la croce né le grandi vele con la rappresentazione dell’ordine dei cavalieri. Venne deciso, allora, in segno di protesta, di utilizzare il simbolo del pericolo per dimostrare la presenza e la immutata voglia di lottare dei cavalieri. Venne rappresentato di colore bianco in campo nero e per decenni quel simbolo è stato associato alle navi dei templari. Nei secoli successivi l’idea che quel segno rappresentasse navi pericolose, indusse i corsari ad impossessarsene. Così il cosiddetto jolly-roger è diventato, per tutti, il simbolo dei pirati». Il commendatore de Lutio ha annunciato che anche l’ordine metterà in piedi una commissione di studio per capire chi fosse Alexander Andreas e qual è il significato del testo inciso sulla lapide: «Di primo acchito dico che si tratta certamente di un simbolo di pericolo, di un segno di confine oltre il quale non andare. Ma preferisco avere il conforto degli esperti prima di dare una versione ufficiale da parte dell’ordine»

Paolo Barbuto La fotografia di questa lapide, pubblicata nello stesso giorno dell’annuncio della scoperta delle croci templari nel sottosuolo della basilica della Pietrasanta, ha portato un pizzico di caos nel mondo degli studiosi: qual è il significato del testo inciso su quel marmo datato 1593? Chi era Alexander Andreas, citato sulla lapide? E, soprattutto, si tratta di una iscrizione funeraria o d’altro genere? Cercano risposte Luca Cuttitta che si prende cura del sottosuolo della Pietrasanta e Lello Iovine, l’imprenditore alla guida del team che ha ottenuto la concessione della basilica da parte della Curia, subito dopo l’appello del cardinale Sepe per salvare le chiese in abbandono della città. Per cancellare ogni perplessità vi diciamo subito che una risposta definitiva al significato della lapide non è ancora stata trovata. Eppure, sappiatelo, ci stanno lavorando fior di studiosi, professori, ricercatori. A chi ha solennemente dimenticato (come noi) gli insegnamenti dei tempi della scuola e a chi, semplicemente, non ha confidenza con il latino risparmiamo i particolari tecnici: verbi che «richiederebbero il dativo e non l’accusativo» appartengono a mondi sconosciuti ai più; «l’attrazione del sostantivo nello stesso caso del relativo» continua ad essere un evento misterioso per la gran parte di noi poveri (e ignoranti) mortali. Per farvela breve la ricostruzione è difficile, anche perché si tratta di un latino di fine 1500, impuro e forse trascritto male da chi ha materialmente fatto l’incisione. Anche il personaggio al quale fa riferimento la lapide è avvolto dalla nebbia: si tratta di Alexander Andreas, il matematico tedesco con la passione per l’alchimia, o è semplicemente Alessandro Andrea, lo storico italiano contemporaneo al matematico tedesco il quale aveva passione per le vicende di guerra? È affascinante l’idea che si tratti del matematico istruito alla scuola di Ratisbona che si è trovato a Napoli ad operare proprio nella zona dove cent’anni dopo si sarebbe costruito il mito del principe di Sansevero, Raimondo di Sangro. È inquietante, invece, l’ipotesi che si tratti dello storico napoletano. Secondo una attenta lettrice (che peraltro dubita della attribuzione templare alle croci sotterranee, nonostante la conferma dello stesso ordine) quell’uomo sarebbe morto nell’anno citato sulla lapide. Però era sepolto in un altro posto, esattamente nella chiesa della «Croce di Lucca»: ma se era sepolto altrove, perché la sua lapide è finita nella cripta della Pietrasanta? Sulla traduzione del testo c’è una ipotesi dominante: potrebbe significare, «Alessandro Andrea nell’anno della salvezza 1593 pose fine qui alle fatiche che sopportò all’esterno», frase decisamente singolare per ricordare un morto. Per questo gli studiosi ci stanno lavorando ancora, anche alla luce di vari altri misteri che circondano la lapide. Secondo alcuni ricercatori (siamo aperti anche ad altre interpretazioni, naturalmente), il simbolo inciso non sarebbe quello abitualmente utilizzato sulle lapidi tombali: le ossa incrociate alle spalle del teschio sarebbero la rappresentazione del pericolo, esattamente come avviene ancora oggi sui cartelli gialli affissi nei pressi delle zone a rischio. La morte dovrebbe essere, invece, rappresentata con le tibie incrociate al di sotto del teschio. C’è, poi, un altro particolare che rappresenterebbe un palese rimando alle tradizioni templari, la mancanza della mascella nella raffigurazione del teschio. Si tratta, diciamolo subito, di una segnalazione che abbiamo ricevuto via mail e abbiamo ritenuto fantasiosa: la riportiamo, però, sia per dovere di cronaca che per effettuare una verifica «sul campo» sottoponendola alla verifica dei lettori. Il riferimento sarebbe ai resti della «Maddalena» riscoperti nel 1200 e trovati privi proprio della mascella. Secondo l’ardito racconto, siccome i templari sarebbero stati devoti della Maddalena avrebbero inserito quel segno (il teschio senza mascella) nella loro simbologia. Per adesso si tratta, lo ripetiamo, semplicemente di una fantasiosa ricostruzione.